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Storia di Lucia

Il Centro Antiviolenza "La Nereide"onlus – Telefonodonna 0931 61000, in occasione della giornata dell’8 marzo 2007, dedicata alla donna, insieme ad Amnesty International col Patrocinio dell’Ufficio Pari Opportunità Provincia Regionale di Siracusa, ha proiettato presso la sala conferenze Iole Vittorini, il film della regista Cristina Comencini, "La bestia nelcuore".

Molti telespettatori hanno avuto difficoltà nel capire e nell’accettare una situazione come quella presentata nel film: una famiglia in apparenza "normale", due genitori professori, un padre, al mattino, amorevole, attento ai figli , sensibile , e la notte "bestia" che violentava, col consenso della madre che faceva finta di non vedere, entrambi i figli. A distanza di anni immagini dolorose cominciano ad emergere nella mente della protagonista (che ha parzialmente rimosso i ricordi, o meglio sopiti) che comincia a prendere coscienza dell’accaduto attraverso quelli che ella considera sogni, terribili incubi, ma che si rivelano poi realtà confermata dal fratello maggiore. Entrambi portano i segni della bestia: difficoltà di amare e di intraprendere con fiducia legami affettivi. La verità emergerà in tutta la sua crudezza attraverso il racconto-ricordo dei 2 fratelli sulla doppia personalità del padre-bestia.

Forse non ci rendiamo conto che spesso queste realtà ,che sembrano a noi così lontane, sono dietro l’angolo, in agguato e magari possono interessarci da lì a poco colpendo noi o qualcuno a noi caro. D’altronde, se ognuno di noi potesse veramente leggere negli occhi degli altri ne conoscerebbe l’animo, i segreti, i dolori.

Desideriamo raccontare la storia di una giovane donna, che si è rivolta al ns. Centro Antiviolenza chiedendo il nostro aiuto:.

La nostra cara amica , che chiameremo Lucia ,viene da uno dei paesi della provincia siracusana e la sua giovane età traspare dalla freschezza del sorriso, dalla limpidità di uno sguardo forte ma dolce, che mostra un desiderio di riscatto superiore al dramma trascorso ma pur sempre in atto.

Chi subisce violenza non potrà mai scordare quanto è accaduto, ma certamente potrà contribuire alla creazione di un mondo migliore se, superato il tormento interiore , riuscirà a far prevalere in sé il desiderio di rimettersi in gioco.

Lucia è un fiume in piena, non riusciamo a starle dietro con gli appunti.

Di lei ci colpiscono la compostezza, il linguaggio forbito di chi ha studiato.

Bisogna aiutare la società attorno a noi a capire che il numero maggiore di violenze avviene tra le mura domestiche, con le persone che sembrano amarti di più . Non solo, ma tutte le donne sono a rischio, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza o dal livello di istruzione . Io ne sono un esempio lampante. Non ricordo quando ho cominciato ha subire violenza da mio padre, i miei pensieri si sovrappongono a scene che spero di mettere di lato, sebbene so che non accadrà, e ricordi lontani di bambina. Credo di esserci nata in quella situazione e che andasse così da sempre. Ricordo però che a 4 anni una notte mi sono alzata ed ho cominciato a rompere con una sedia tutto ciò che mi si parava dinnanzi. Certo, manifestavo già segni di disturbi psichici ma ero troppo piccola per capire."

La verità che Lucia ci racconta è quella che vivono molte donne: "quando ci troviamo dinnanzi ad un estraneo che vuole farci del male , anche solo rimproverandoci o offendendoci, la nostra reazione è immediata: sentiamo l’esigenza di difenderci, di opporci , di allontanare da noi quella situazione. Ma quando, sin da piccola ti dicono che è normale, che è giusto, che tutto accade per amore, ti abitui e pensi che debba andare così. Ma anche i bambini sentono e intuiscono ed io, già alle elementari, avvertivo che qualcosa non andava, che la mia vita non era come quella degli altri . Poi cresci, ti confronti coi coetanei ed iniziano i problemi. Ognuno ha il suo modo di affrontarli ma quasi tutti , compresa io, si trovano ad subire un tracollo psicologico e "reagisci non reagendo", cerchi di non pensare ,.annulli i tuoi dubbi, le tue emozioni, i tuoi pensieri, vivi in una situazione di sospensione continua , ti senti schiacciata, prostrata. Impari anche a non piangere". Lucia ci confessa che seppur scossa da tutto quello che le è accaduto e le sta accadendo in questi ultimi due anni , da quando cioè ha trovato la forza di parlare, non piange , ha imparato a nascondere le sue emozioni anzi a reprimerle, per non farsi sfiorare dal dolore. "Da bambina soffrivo già perché, seppur non capivo, mi rendevo conto che c’era qualcosa che non andava bene : mi veniva chiesto di non dire perché gli altri non avrebbero capito, che tutto accadeva per amore e man mano che crescevo dovevo combattere anche con me stessa, con i miei dubbi, sul perché è accaduto e se magari la colpa non fosse mia. La violenza psicologica è tanto forte quanto quella fisica perché ti porta a credere che la responsabile di qualunque gesto sei tu, che la colpa è tua , che forse in fondo sei sbagliata. E poi bugie su bugie, perché devi mentire a te stessa, alla tua famiglia, agli altri e la tua vita risulta sospesa tra fobie e speranze. Sì , le fobie , le paure: quella del buio( magari se va via la luce riesco ad accartocciarmi in un angolo senza potermi muovere ) quella degli spazi chiusi, quella degli altri ; qualsiasi situazione, anche la più normale ti genera ansia , paura e non sempre riesci a controllarla. E’ una paura paralizzante, distruttiva che ti porta ad avere reazioni spropositate e inspiegabili per gli altri.. Vi potrei raccontare tanti esempi di paura: una volta mi si è riempita la casa di gas e sono intervenuti i vigili del fuoco perché non riuscivo a girare nel senso giusto la manopola del gas. Bastava girarla in senso opposto a quello seguito da me. Assurdo vero? Non si tratta di un’ansia costruttiva, spronante che ti spinge a raggiungere obiettivi, ma negativa, continua, paralizzante".

Più osserviamo Lucia più ci rendiamo conto che ha un carattere forte e determinato ma un modo di porsi e di fare estremamente aggraziato e dolce, nonostante il suo trascorso. "Quando cresci tutte quelle dolcezze tipiche dell’età adolescenziale, la carezza, il primo bacio, le affettuosità del tuo ragazzo, sono esperienze distrutte, non le vivi ,non le capisci, non creano in te nessuna emozione, nessuna gioia. Hai difficoltà a legarti a qualunque uomo sentimentalmente perché non sai voler bene, perché lo temi ,perché pensi che ti sottometterà. Ed allora per paura rinunci a qualunque storia , anche la più bella . Ma alla paura si aggiunge anche la rabbia : desideri farli soffrire, magari per riscattarti , per far sentire loro il male che ti hanno fatto . Ecco cosa accade : annulli te stessa, ti sottometti , hai paura, non provi sentimenti, vuoi vendicarti. Un forte turbinio di emozioni che ti spaccano il cuore e l’anima e ti sconquassano all’interno" .

Paradossalmente Lucia ci spiega che i suoi litigi non erano col padre, ma con la madre . "All’inizio la ritieni responsabile, pensi che avrebbe dovuto proteggerti, non ti senti capita! Ero una ragazzina insofferente , lanciavo dei segnali che avrebbero dovuto spingerla ad avere dei dubbi ( piangevo, ero nervosa) ma non ho mai portato grossi problemi a casa anzi il mio carattere mi spingeva ad essere attiva, impegnata: praticavo sport, suonavo il piano , andavo bene alle superiori ma negli ultimi anni di scuola è cominciato il mio tracollo psicologico : ho abbandonato tutto , ho iniziato ad annullarmi. Speravo che mia madre se ne accorgesse, che intuisse il mio-nostro dramma, che le venisse un minimo di dubbio sul percorso calante che avevo avviato. Ma lei non capiva, non intuiva. Quando mi sono inscritta all’università mi sono affidata al tempo ,ho sperato che le cose migliorassero fuori dalla famiglia , fuori dalla mia terra, speravo che la mia vita ritrovasse un equilibrio; ma quando tornavo , tutto era come prima" .

Ma dinnanzi ad una situazione del genere siamo certi che Lucia sarà stata aiutata, capita ed appoggiata dalla sua famiglia. " Non è andata proprio così . Dapprima tutto quanto dicevo è stato messo in dubbio: la mia famiglia ha avuto seri dubbi sulla veridicità della mia storia. Quando ho deciso che era arrivato il momento di smetterla di farmi fare del male, non ho avuto il coraggio ne la forza di parlare con mia madre ed deciso di scriverle una lettera che le è stata recapitata da una amica. Quello che è accaduto non è facilmente spiegabile ed i miei familiari hanno assunto comportamenti diversi tra loro: i parenti di mio padre non hanno voluto più avere a che fare con lui ma nemmeno con noi, lasciandoci così anche soli, altri hanno compreso la tragedia che si compiva attorno a noi e ci hanno sostenuto ma solo moralmente, mio fratello si è rinchiuso nel silenzio per diverso tempo mentre mia madre si è vista distruggere la famiglia sulla quale aveva puntato tutta la sua vita e i nostri rapporti si sono incrinati . Aggiungo che non solo le donne subiamo l’onta dell’offesa fisica e psicologica ma dobbiamo pure dimostrare la veridicità di quanto affermiamo combattendo contro tutti e tutto. Anche i medici hanno chiesto a mamma di non esasperare l’accaduto. Perche? Perché nell’angoscia di dimostrare il contrario, mio padre ha tentato il suicidio e se la situazione fosse peggiorata ( avrebbe potuto riprovarci )io mi sarei pure dovuta sentire in colpa se fosse morto!! Mia madre si è sentita tirata tra due realtà che si scontravano: quella di un uomo che compiva un gesto tanto estremo e quello di una figlia che lo accusava di violenza. Si aggiungano le critiche di chi ci conosceva e mi ha giudicato figlia ingrata per non essere stata vicino a mio padre mentre era in ospedale. Sono andata via di casa , lontano, non potevo tollerare oltre."

Oggi non porto rancore a nessuno ma devo dire che mi sono sentita abbandonata per quasi due anni.

Dopo aver confessato quanto accadeva speravo che la mia famiglia mi stesse vicino, mi aiutasse ma non è andata così e la mia sofferenza è stata ancora più grande. Tornare a casa non se ne parlava proprio , lui era ancora lì e io ero costretta ad andare da amici per paura di tornare a casa ed incontrarlo.

In quei periodi spesso ho pensato di farla finita perché dinnanzi a me vedevo solo disperazione.

Poi mia madre ha chiesto il divorzio, lui è andato via e io sono tornata a casa non perché mi sia stato chiesto, ma perché avvertivo l’esigenza di ricreare il "nido" familiare.

Capivo che tutti avevano subito un colpo psicologico ed ho ritenuto di ricompattare noi 3 per evitare che il dolore ci allontanasse. Meglio litigare con i tuoi che perderli.

Adesso il percorso che si sta avviando non è facile ed è spesso costellato da scontri ed incomprensioni ma almeno stiamo sviscerando insieme l’accaduto perché, io per prima, abbiamo capito di aver bisogno di aiuto , sebbene non sia facile né accettare l’idea di parlarne con estranei, né di avere bisogno.

Quando però comprendi ed accetti il supporto degli altri , cominci ad avere una visione un po’ più serena. Non che ciò ti risolva il problema in quanto bisogna trovare la forza e la voglia di vivere in se stessi. Io non ho superato i miei timori, le mie fobie ci sono ancora e tutte, ho pure sospeso l’università perché mi manca la forza di concentrarmi, sola , nella mia stanza. La mente corre altrove…. ma ho capito che non sono "la sola" e nemmeno "sola".

Oggi ho bisogno di fare altro, di impegnarmi nel lavoro, per non pensare, per sentirmi attiva ma devo imparare a controllare il tempo perché tutto accadrà negli anni. Sto così continuando le sedute con lo psicologo e partecipando agli incontri di gruppo con mia madre che dapprima tentava di dissuadermi ma ora ha capito l’importanza di avviare assieme questo percorso".

Ci chiediamo come e dove Lucia abbia trovato la forza di raccontare " Non è stato facile. Ai coetanei era impensabile chiedere consigli impegnati come sono nelle sciocchezze e nelle futilità. Poi ho saputo che vi erano strutture che potevano aiutarmi: ho avuto la fortuna di conoscere una persona che mi ha sostenuto divenendo il mio punto di riferimento, che mi ha orientato verso il Centro Antiviolenza "La Nereide"onlus – telefonodonna 0931 61000 , ma io stessa sentivo l’esigenza di trovare un posto sereno, tranquillo, distante. Non essendo in pericolo di vita non mi sono potuta trasferire in una casa rifugio, ma venendo a contatto con loro ho capito che era inutile fuggire e che dovevo affrontare il problema in faccia Ed è quello che ho fatto!"

Ci chiediamo se una come Lucia potrà mai pensare di crearsi una famiglia, di avere dei bimbi, di creare un legame duraturo. "Ma certo lo spero tanto! Io credo nella famiglia . Spesso mi sono chiesta se un giorno troverò mai la gioia e la serenità. Quando apri gli occhi e ti svegli da un incubo come quello vissuto da me speri di poter diventare come gli altri, di poter vivere una vita come gli altri.

E’ chiaro che le terapie sono lunghe ed i percorsi tortuosi per uscire dal tunnel nel quale sei caduta ma sono ottimista di natura ci vorrà tempo ma ne uscirò.

Le chiediamo un’ultima considerazione sul padre-bestia che Lucia non chiama né per nome né padre ma "lui". "E’ una persona malata di cui non voglio più sentir parlare e che voglio allontanare per sempre dalla mia vita.

Oggi mi preme solo ritrovare me stessa e magari un giorno fare l’insegnante, al fine di dare ai bambini quell’amore che io non ho ricevuto". E noi che non riteniamo queste persone malate ma soltanto bestie ci auguriamo che le speranze di Lucia divengano realtà.