Centro di documentazione

In questa pagina  raccogliamo  ed elaboriamo i dati del fenomeno a partire da quello che ..le donne raccontano.

Scriveteci la vostra storia, il primo passo per uscire dalla violenza può essere trovare…le parole.

Il nostro indirizzo è :     lanereide.sr@virgilio.it

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Una donna ci ha scritto :

Sono stata un’insegnante di recente diventata anche vedova e passo buona parte del tempo in compagnia della televisione. In questo inizio di anno ho ascoltato tante notizie che facevano riferimento ad atti di aggressione contro le donne specie da parte dei mariti. Uno è arrivato anche a gettare dal balcone la moglie con la figlia. Così mi sono posta tante domande su come sia possibile prevenire questi sciagurati episodi e su come sia cambiata la famiglia se è, essa stessa, un luogo di possibile pericolo. D’altra parte penso che l’ aggressività fa un po’ parte degli esseri umani per cui non sarà mai possibile eliminarla. Si può persino dire che nella società di oggi la violenza si sia accentuata e non sempre si riesce a tollerare una provocazione. Visto che seguite le donne che subiscono tali vicende, qual’ è la vostra valutazione del fenomeno ? E’ possibile ridurre tali fatti ?

Gentile professoressa, anche noi incontrando ed aiutando le donne vittime di violenza, concordiamo con lei che la famiglia non è sempre quel luogo di protezione e tutela che vorremmo. Tuttavia molto può essere fatto se le stesse istituzioni hanno posto attenzione al problema. Infatti è attiva in sede nazionale una indagine conoscitiva sul fenomeno della violenza contro le donne: la Rete antiviolenza tra le città Urban.

I primi risultati, che sono nella nostra biblioteca di documentazione, evidenziano che esistono molti stereotipi comunemente accettati sui comportamenti violenti. Sono tipici di un certo modo di essere "maschio" e la maggior parte delle persone percepisce il problema come malattia o come dipendente da cause sociali, quando in effetti esso è dovuto alla soggettività e alle abitudini relazionali. Un atteggiamento di inevitabilità del fenomeno, invita alla indifferenza verso tali comportamenti violenti e ne favorisce la rassegnazione. Invece quasi sempre la violenza è voluta e codificata per ottenere il controllo dell’altro, appunto per questo dovrebbe occupare un posto di rilievo lo sviluppare una maggiore attenzione educativa al fenomeno.

E’ preoccupante che si continui ad utilizzare la convinzione della "provocazione", di cui anche lei parla, come giustificazione ad un comportamento incivile quale quello violento. Questa è una idea che evidenzia quanto sia lontano il percorso di pari diritti e pari condizioni di opportunità verso le donne ed il cui sapere resta ancora poco valorizzato.

Il contesto culturale nel quale nasce e cresce la violenza è la incapacità di una relazione paritaria e non necessariamente dovuta alla scarsa istruzione. Come le diverse indagini hanno fatto emergere, la realtà vede la violenza determinata da uno stile di vita appresso: il nucleo sociale di origine , un eccesso di modelli autoritari, l’addestramento a tali metodi per avere consenso, il bisogno di predominio, etc.

Le liti verbali poi sono la premessa a gesti violenti in continuo salire di livello. Capire dove finisce il proprio spazio si apprende con le regole che rispettano anche l’ altro ed i suoi desideri, ma devono essere regole condivise e non imposte. I conflitti non si risolvono con le logiche di autoritarismo o percosse ma offrendo luoghi di incontro dove conoscere le pscicodinamiche delle condotte aggressive. Le diverse indagini concordano che un percorso di uscita dai comportamenti violenti passa dalla consapevolezza del rispetto profondo della donna come persona, e dalla accettazione di una specifica responsabilità a sfondo"maschilista". Continuare a proporre il superamento di tale modello socio-culturale è l’impegno del centro antiviolenza TelefonoDonna.

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Una giovane donna ha scritto alla associazione questa e-mail

Sposata da diversi anni, mantengo un lavoro di collaborazione presso uno studio professionale per contribuire alle entrate della famiglia che non sono tantissime. Nonostante un diploma e corsi di inserimento più specifici, il mio lavoro resta di sottoccupata. Ho cercato tanto ma inutilmente, e so che se mi capitasse di uscire incinta rischierei di perdere anche il lavoro che ho.

Essendo vicina alla trentina queste continue riflessioni sul decidere di avere un figlio sono causa di discussioni con mio marito perché mi sento senza prospettive sul lavoro e la scelta della maternità mi costringerebbe ad altre rinunce. Penso che come donna sto pagando un prezzo non indifferente alla mia realizzazione nonostante la istruzione e la preparazione. Non vorrei che il conflitto si esasperasse.

Mio marito è molto intenzionato a farmi rinunciare ad una mia indipendenza economica ed io ho il dubbio che sia un modo sottile per controllarmi. Non può essere anche questa una forma di violenza?

La giovane signora pone un problema attuale per tante donne : l’ inserimento lavorativo, la naturale crescita del nucleo familiare , il progetto d’ amore. Va chiarito che il lavoro non deve essere solo incremento del reddito familiare ma deve rappresentare una scelta di affermazione della donna, una crescita sociale ed umana. La disoccupazione giovanile e femminile in particolare, rimane però ancora altissima in Sicilia . Se da una parte è aumentata l’ offerta da parte di ragazze sempre più motivate allo inserimento professionale e con adeguati livelli di scolarità e formazione, dall’altra si offre alle donne un lavoro atipico e flessibile. Poche le tutele e con divario economico sostenendo che le donne preferiscono questo tipo di lavoro perché concilierebbe le esigenze familiari e le attività di cura, pagandone il prezzo in precarietà e sacrifici

Il lavoro sommerso nella nostra regione è oltre il 36% e il lavoro femminile ne è molto rappresentato. Costantemente poi sono ricattabili nella scelta di avere un figlio e spesso rinunciano. Anche queste sono forme di disparità che le donne devono riconoscere e capovolgere con forza ed autorevolezza nonostante una società legata ai ruoli codificati tra maschio e femmina.

Il cambiamento, gentile amica, comincia dal modo di rivedere i ruoli in ambito familiare, chieda spazio e tempo al lavoro di suo marito per capire come e quanto il suo contributo di padre possa e debba essere partecipativo e concreto. Il percorso di cura e crescita di un figlio impegna entrambi ed una sua personale rinuncia va decisa in sintonia ma con convinzione e senza tentennamenti se limita le sue aspirazioni. Qualora il suo spazio di donna volesse aprirsi anche professionalmente sappia che deve continuare a migliorare le sue conoscenze e competenze progettando anche iniziative personali usando il tirocinio della relazioni di lavoro già avviate. Se i figli impegnano ma non si devono affidare a tempo pieno solo alle madri : compagni, nonni, baby sitter, sono figure che possono, oltre al padre, essere di riferimento educativo senza farci avvilire con sensi di colpa, o farci rinunciare ad una autonoma indipendenza economica.

Sappia che il centro TelefonoDonna offre un luogo dove a partire dalla conoscenza del sé si elabora una cultura della relazione e della differenza di genere per consentire pari opportunità di valorizzazione sociale delle donne e dove la logica dei calcoli utilitaristici del potere è assente. E’ un compito impegnativo ma noi donne "insieme" possiamo farcela a migliorare i risultati raggiunti senza sacrificare totalmente solo noi stesse.